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COSENZA – SENTENZA LAVORO – INFEDELTA’ DELLA CONTABILE – GIUSTO IL LICENZIAMENTO

Con la sentenza n. 14/2018 il Tribunale di Cosenza, Sezione Lavoro, ha deciso la causa che verteva sulla liceità di un licenziamento, assunto nei confronti di una dipendente a cui il datore di lavoro aveva mosso gravi contestazioni circa l’esecuzione delle proprie mansioni contabili e amministrative, quali: l’avere eseguito operazioni di cassa errate, avere prodotto gravi squadrature del saldo di conti di debito di estrema importanza nascondendole al datore di lavoro e, soprattutto, d’avere eseguito e registrato scritture contabili improprie.
Il giudice, nel richiamare i fatti di causa, ha considerato le giustificazioni offerte dalla dipendente in sede disciplinare e poi ribadite nel ricorso presentato per ottenere la declaratoria dell’ingiusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 18 L. n. 300/1970.
Il giudice, dopo avere rilevato l’inapplicabilità al caso di specie del rito speciale di cui all’art. 1, commi 47 ss L. n. 92/2012 (C.d. Rito Fornero) per difetto dei presupposti, ha affrontato nel merito la vertenza, analizzando puntualmente le contestazioni mosse dal datore di lavoro e le eccezioni sollevate in sede di giudizio dal lavoratore, partendo da una verifica preliminare sulla natura delle mansioni svolte dalla dipendente. A tal proposito, infatti, riprendendo le dichiarazioni rese dai testi indicati dal lavoratore, il giudice di primo grado ha ricostruito la mansione contabile delle dipendente per come segue: ”il lavoratore disponeva di autonomia operativa, non inficiando detta autonomia la circostanza secondo cui le direttive di massima erano fornite da un soggetto terzo, riconoscendo i giudici il potere di direttiva insito nel rapporto gerarchico tra datore di lavoro e lavoratore subordinato. I giudici hanno quindi ritenuto dirimente il fatto che il dipendente godesse di autonomia operativa e non vi erano controlli quotidiani sul suo operato.
Sulla base del citato presupposto, i giudici hanno quindi concluso che il lavoratore, cui si contesta un numero rilevante di operazioni contabili erronee, non può eccepire l’asserita “irrilevanza” degli importi contestati, in quanto, se pure gli errori contestati dovessero riferirsi ad arrotondamenti per centesimi di euro, ciò non rappresenterebbe un’esimente, posto che la corretta tenuta della contabilità prescinde ovviamente dal valore (esiguo o meno) dell’operazione.
I giudici hanno pure ritenuto provata, perché sostanzialmente non contestata dalla ricorrente, la circostanza secondo cui il lavoratore avrebbe tenuto in maniera negligente la contabilità di alcuni conti di debito e, quando accortasene, non avrebbe portato a conoscenza del datore di lavoro la conseguente squadratura.
Ancora, i giudici hanno ritenuto rilevante che il lavoratore non abbia svolto alcuna difesa rispetto ad uno specifico addebito secondo cui il datore di lavoro attribuiva al lavoratore la responsabilità di non avere portato a conoscenza della società una specifica squadratura, d’avere falsificato la documentazione aziendale, al fine di mascherare l’incongruenza contabile sul saldo e la sua negligenza nel tenere la contabilità, e l’avere mentito in occasione dei controlli disposti dalla società.
Ancora, i giudici hanno rilevato che la difesa della dipendente non aveva di fatto contestato un ulteriore, grave addebito mosso dalla società, e cioè che si era resa responsabile d’avere cancellato due scritture contabili di rilevante importo, eliminando in tal modo traccia della loro esistenza, in violazione di precisa direttiva aziendale.
Per tutto quanto fin qui esposto, i giudici hanno quindi ritenuto provata la responsabilità del lavoratore per i fatti contestati.
Richiamando quindi i più rilevanti precedenti di Cassazione (Cass. Sez. Lav. 14586/2009, 17514/2010 e 16864/2006) il giudice ha ritenuto che gli addebiti contestati al lavoratore risultino di gravità tale da ledere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, tenuto conto sia dell’elevato numero di episodi in contestazione e del loro contenuto oggettivo, che della qualità di impiegato contabile rivestita dalla ricorrente.
Conclude quindi il giudice che proprio la qualità di impiegato contabile rivestita dalla ricorrente determina, da un lato, una specifica (accentuata) responsabilità nello svolgimento delle mansioni e, correlativamente, la pretesa da parte del datore di lavoro ad un elevato grado di diligenza ed affidabilità.
Per le ragioni sopra esposte, il Giudice ha ritenuto non censurabile il recesso datoriale, sussistendo la giusta causa di licenziamento, rigettando di conseguenza il ricorso del lavoratore e condannandolo al pagamento delle spese di lite.
La Società si era riservata la facoltà di perseguire il dipendente per i danni arrecati con la sua grave condotta ex art. 2043 CC.
Il datore di lavoro è stato assistito dallo Studio Legale Commerciale Villecco.

 

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