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Un paese senza i conti in ordine e la legge elettorale perfetta

Un Paese senza conti in ordine e la legge elettorale perfetta

Per questa settimana è prevista la pubblicazione della legge di bilancio 2018, lo strumento normativo con cui il Governo allinea gli strumenti normativi tributari ai trend finanziari correnti ed alle nuove esigenze connesse all’introduzione di misure innovative.
Finalmente potremo vedere quali sono i saldi previsti e, di conseguenza, gli andamenti programmati per la spesa pubblica, le entrate tributarie, il debito pubblico e gli altri indicatori fondamentali delle condizioni di finanza pubblica del nostro Paese.
Secondo il ministro Padoan “Dopo 7 anni di aumenti, il debito ha registrato una prima flessione nel 2015, che verrà seguita da una riduzione anche nel 2017, che accelererà poi nel 2018 e negli anni successivi”.
Purtroppo, i dati pubblicati dalla Banca d’Italia raccontano una storia diversa, per come emerge dal grafico elaborato dall’Istituto di vigilanza bancaria.

Si vede chiaramente che il debito aveva raggiunto nel 2015 un valore di 2.173 miliardi di euro; nell’agosto del 2017 il valore è stato, invece, pari a 2.279 miliardi, con un aumento di quasi il 5%. Ora, come faccia il nostro ministro alle finanze a prevedere una riduzione del debito pubblico rispetto al dato del 2016 (pari a 2.218 miliardi) non è dato sapere.
Prendiamo il trend mensile registrato nel soli primi 8 mesi dell’anno; ebbene il Paese ha accumulato un maggior debito di circa 10 miliardi per ogni mese; se il trend rimane lo stesso, allora possiamo prevedere di chiudere il 2017 ad un valore di circa 2.320 miliardi, in aumento del 4,5% rispetto al dato 2016.
Se, invece, prendiamo per buono il trend annuale sul rapporto tra il dato di dicembre e quello di agosto, allora potremo prevedere un debito pubblico del 2017 in aumento del 2,7% rispetto al 2016.
In entrambi i casi i dati raccontano una storia diversa da quella del ministro.
D’altronde che qualcosa non funzioni nella gestione del bilancio pubblico del Paese ce lo conferma il Rapporto sulle entrate della Ragioneria Generale dello Stato alla data di luglio 2017.

Infatti, nei primi sette mesi dell’anno lo Stato ha maturato, rispetto al 2016, un aumento dell’1,6% al suo diritto di riscuotere entrate (competenza), ma, dovremmo dire purtroppo, gli incassi avvenuti nei primi sette mesi del 2017 si sono ridotti del 1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Così, mentre nei primi 7 mesi dell’anno si era previsto di incassare 247 miliardi di entrate, gli incassi effettivi sono stati 233 miliardi, con una differenza tra dato reale e dato previsto di ben 14 miliardi, che sono mancati all’appello nei soli primi 7 mesi dell’anno; si può dunque prevedere che su base annua lo Stato incasserà 436 miliardi di entrate tributarie invece dei 463 miliardi previsti, con un “buco per sole minori entrate” di 27 miliardi. In pratica, con questo andamento delle entrate tributarie non possiamo in alcun modo centrare gli obiettivi di finanza pubblica programmati, e già questa è una notizia poco entusiasmante per gli italiani, che devono quindi attendersi nuove riduzioni di servizi e più che probabili aumenti impostivi (magari mascherati).
A chi volesse suggerire che la riduzione delle entrate tributarie è dovuta ad una riduzione delle tasse, dobbiamo purtroppo opporre gli stessi dati del rapporto elaborato dalla ragioneria generale dello Stato a luglio.
La riduzione delle entrate dello stato è dovuta per gran parte alla riduzione delle entrate dirette (le imposte sui redditi), che nel 2017 si sono ridotte del 5,3% rispetto al 2016. Purtroppo, però, mentre gli incassi per le tasse sulle persone fisiche si sono ridotti del 1,4%, gli incassi delle tasse sulle imprese si sono ridotte del 27,6%. Non solo, mentre i singoli cittadini assicurano, con le proprie imposte sui redditi, il 42% delle entrate statali, le società contribuiscono per un modesto 5%. Questo dato, oltre a segnalarci il rischio di tenuta nelle previsioni sul debito pubblico, ci segnalano pure un’altra incongruenza dello storytelling dominante: se è vero che siamo usciti dalla crisi, come è possibile che non aumentano i redditi delle persone fisiche (i primi a dovere aumentare per effetto del meccanismo della ritenuta alla fonte)? E, soprattutto, come è possibile che diminuisce di un terzo il carico tributario delle società (calcolato sull’anno 2016, in cui il PIL è cresciuto dello 0,9% rispetto al 2015)?
Ma torniamo alle tasse che si riducono per i cittadini. Abbiamo visto che si sono ridotti gli incassi per le imposte dirette. Tuttavia, si è pure registrato un aumento delle imposte indirette (IVA e registro) che, è bene ricordare, sono pagate quasi interamente dalle sole persone fisiche. E, infatti, se le imposte dirette si riducono per le persone fisiche di 1,354 miliardi, gli incassi per IVA aumentano di 3,043 miliardi e le altre indirette di 0,859 miliardi. Insomma, possiamo tranquillamente dire che nei primi sette mesi del 2017 gli italiani hanno pagato più tasse di quanto non ne abbiano pagate l’anno prima.
I dati ufficiali dei conti dello Stato, dunque, dimostrano inequivocabilmente che il debito pubblico aumenta, che l’economica non produce nuove risorse per il Paese, che i cittadini pagano più tasse. L’evidente incongruenza tra lo storytelling governativo e la situazione di fatto è forse il frutto dell’imminente scadenza elettorale, all’esito della quale, sembra evidente, non emergerà alcuna maggioranza politica di governo, per effetto della sua impronta proporzionale.
Cosa ne sarà allora di questo Paese, quando le istituzioni finanziarie e politiche internazionali pretenderanno politiche di rigore finanziario in un quadro di profonda incertezza politica? Non dobbiamo aspettarci, forse, che tornino sulla scena governi di coalizione, che assumano misure impopolari senza una chiara responsabilità politica? A questo si presta evidentemente questa nuova legge elettorale.

Saverio Carlo Greco

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