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Con le autostrade lo Stato risparmia e la finanza festeggia. Ma i ponti crollano.

Con le autostrade lo Stato risparmia e la finanza festeggia. Ma i ponti crollano.
Nel breve volgere di pochi mesi abbiamo assistito a due incidenti di straordinaria importanza sulla rete autostradale italiana. La scorsa settimana, infatti, un cavalcavia è crollato sulla carreggiata autostradale della A14 uccidendo due persone, mentre cinque mesi addietro un altro cavalcavia è precipitato uccidendo un automobilista in Lombardia.
Il costume nazionale prevede una precisa procedura di controllo della pubblica opinione, che si articola, con l’aiuto degli organi informativi, per come segue: innanzitutto notizie generiche di un grave incidente, poi il dettaglio biografico delle vittime, se possibile accompagnato dalla narrativa sui salvataggi e gli esempi di eroismo nazionale. Subito dopo monta la polemica sulle responsabilità, che però deve fare i conti con il necessario senso di rispetto per il dolore delle vittime. A funerali celebrati qualche dettaglio, possibilmente scandalistico sulle prime attività di indagine e, con il passare dei giorni, notizie sempre più diradate e imprecise, fino all’oblio. E’ così che l’Italia finge di non vedere le conseguenze drammatiche della propria condizione Nazionale. Possiamo infatti immaginare che un Paese non si debba interrogare quando qualcuno dei suoi cittadini perde la vita semplicemente percorrendo un’autostrada, che invece dovrebbe rappresentare lo standard massimo di sicurezza stradale? E possiamo immaginare che gli interrogativi trovino risposta solo nelle responsabilità degli individui? Se guardiamo ai numeri, comprendiamo che gli individui hanno responsabilità, eventualmente, infinitamente residuali rispetto a quelle assunte dallo Stato, che investe poco nella sicurezza e consente il drenaggio finanziario delle risorse prodotte dall’infrastruttura autostradale. Vediamo allora i numeri.
Il Parlamento italiano ha approvato una legge di bilancio per il 2017 in cui per i sistemi stradali, autostradali ed intermodali la spesa prevista è pari ad € 2,8 Miliardi, che rappresenta lo 0,3% della spesa pubblica. Tale spesa è circa il doppio di quanto lo Stato prevede di incassare per la concessione di beni pubblici, le cui voci principali sono autostrade ed aeroporti. Al netto, dunque, dei proventi per la concessione dei beni pubblici, lo Stato sostiene un onere per i sistemi autostradali inferiore a 1,5 miliardi all’anno. Come dire che, per ogni 1000€ spesi dallo stato, solo 1,70 € sono destinati alle infrastrutture stradali. Potremmo certamente spendere di più se non fossimo costretti a pagare ogni anno per interessi sul debito pubblico un importo pari a 53 volte quello che spendiamo per la sicurezza stradale. Se, dunque, i ponti crollano la prima causa va certamente ricercata nell’esiguità della spesa pubblica per la sicurezza dell’infrastruttura autostradale. E se non possiamo spendere di più la colpa non è dell’Europa, ma dell’eccessivo indebitamento del nostro Paese, che dovrebbe restituire 1.200 miliardi di debiti per rientrare nei parametri che noi stessi abbiamo concordato con gli altri paesi europei.
Certo, lo Stato non è l’unico responsabile della cattiva condizione della nostra infrastruttura autostradale, considerato che l’A14 è un’autostrada affidata in concessione ad una società privata, di cui dobbiamo necessariamente valutare i conti per comprendere fino in fondo quante sono le risorse che ogni anno vengono investite sulle autostrade e, quindi, sulla sicurezza dei cittadini che vi transitano.
Ebbene, l’Autostrada su cui si è verificato l’ultimo incidente mortale per il crollo di un ponte è gestita dal Gruppo Autostrade per l’Italia che, secondo le relazioni finanziarie più recenti, ha ricavi per circa 4 Miliardi l’anno, e investe circa 0,6 miliardi l’anno sull’intera rete autostradale nazionale gestita (questa voce nel primo semestre del 2016 ha subito una riduzione del 36%), per la quale paga annualmente circa 0,4 Mld di oneri concessori. A pagina 21 della Relazione finanziaria del giugno 2016 della società si legge: “maggiori costi di manutenzione delle concessionarie estere, in particolare in relazione ai cicli di manutenzione e pavimentazioni sulla rete brasiliana, in parte compensati da minori manutenzioni di Autostrade per l’Italia, legate alla minore nevosità registrata e alla differente programmazione operativa degli interventi sulla rete nei periodi a confronto”. In pratica, la società, che ogni anno guadagna (e distribuisce al suo azionista principale ) circa 1 Miliardo, ha dovuto risparmiare sui costi di manutenzione in Italia per fronteggiare l’aumento delle spese di uguale natura all’estero.
Se valutiamo i dati fin qui riportati, possiamo concludere quanto segue.
In Italia lo Stato ha costruito con gli investimenti fatti fino agli anni Novanta una rete autostradale che poi ha ceduto, per la maggior parte, in concessione a società private, che si finanziano per il 33% con risorse proprie (di cui il 50% circa viene dal mercato azionario) e per il 66% con capitali acquisiti in prestito. Le infrastrutture concesse fruttano i pedaggi degli automobilisti che le utilizzano. Per ogni euro speso dai cittadini in pedaggio autostradale le società di gestione dirottano circa 40 centesimi verso la rendita finanziaria, che in tal modo può realizzare una profittabilità record del 20% circa del capitale investito. Di questi 40 centesimi, infatti, 20 circa vengono distribuiti come utili, per come segue: il 33% alla famiglia Benetton, il 20% ad altri soci italiani ed il resto a finanziatori esteri, sia americani che europei. Degli altri 60 centesimi di pedaggio circa 10 centesimi servono a pagare allo Stato la concessione dell’infrastruttura, cui si aggiungono circa 9 centesimi di tasse, mentre circa 15 centesimi sono impiegati per i nuovi investimenti. Insomma, per ogni euro che guadagnano, le società di gestione autostradale investono nella sicurezza dell’infrastruttura appena 15 centesimi.
Il problema del sistema autostradale italiano, quindi, non risiede solo nelle scelte di investimento pubblico, ma anche nel drenaggio finanziario che la gestione ordinaria subisce ad opera di gestori che spendono poco in sicurezza per assicurare un rendimento ai propri azionisti assolutamente incongruo con le attuali condizioni del mercato finanziario. Il giorno dopo l’incidente sull’Adriatica la società capogruppo di Autostrade per l’Italia ha comunicato alla stampa i risultati 2016, con un traffico autostradale in crescita del 3,2% e utili in aumento del 10%; certo, l’utile aumenta, ma i cavalcavia crollano!
D’altronde, qual è l’investimento finanziario che oggi assicura una profittabilità del 20%? Solo quelli in attività ad alto rischio finanziario. Ma le autostrade non possono considerarsi tali, visto che si tratta di concessioni statali di lungo periodo. A meno che nel rischio da remunerare non si voglia mettere anche il rischio che corrono i finanziatori a passare sotto i cavalcavia che gestiscono. Ma quello, credo, è un rischio soprattutto per gli utenti italiani, visto che i finanziatori in genere si spostano in elicottero.

Saverio Carlo Greco

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