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La foglia di fico europea

Nel sessantesimo anniversario dalla firma dei Trattati di Roma, sono in tanti a denunciare i limiti delle istituzioni comunitarie. Ci sono Paesi dell’Unione che vivono condizioni civili di estrema precarietà, come la Grecia, ma anche comunità nazionali, come l’Italia, ormai sfibrate da una lunga crisi e afflitte nell’incertezza e nel disagio, che generalmente si riconducono alle politiche economiche stabilite, attraverso i vincoli procedurali, dalle istituzioni comunitarie. Da ciò discende, almeno nell’Europa del Sud, un generalizzato sentimento di insoddisfazione e sfiducia nelle istituzioni europee.
L’Italia è forse il Paese in cui, più che in ogni altro, monta tale sentimento antieuropeo, alimentato per ragioni diverse ma, purtroppo, convergenti.
Alimenta il sentimento antieuropeo la parte populista dello schieramento politico, che non ha ricette per la ripresa del Paese e trova un argomento facile da somministrare all’elettorato: liberiamoci dell’Europa e torneremo ad essere felici come prima. Il messaggio parla alla parte irrazionale dell’elettorato e ne interpreta le pulsioni più profonde di insoddisfazione.
Ma in tutti gli schieramenti si esprimono posizioni politiche più o meno sfumate di critica alle istituzioni europee, che alimentano qualche perplessità e, soprattutto, un dubbio: è possibile che dietro queste critiche si voglia celare l’incapacità di affrontare i problemi di governo del nostro Paese?
Che c’entra infatti la costruzione unitaria europea col fatto che l’Italia non ha più margini di manovra di finanza pubblica? Se, oggi, lo Stato e gli enti locali sono a corto dei mezzi finanziari per provvedere ad un livello sufficiente di servizi per i cittadini, possiamo davvero pensare che la responsabilità di ciò risieda fuori dai nostri confini nazionali? Dovremmo forse aspettarci che l’Europa paghi i nostri debiti, oppure i nostri conti? O forse pensiamo che a mettere un freno all’indebitamento siano le istituzioni comunitarie, e non invece le istituzioni finanziarie, allarmate dalla congenita incapacità del Paese di mettere sotto controllo il proprio bilancio? Dovrebbe forse l’Europa usare i soldi dei contribuenti danesi, olandesi, norvegesi, ecc. per garantire prestiti concessi ad uno stato, quello italiano, che è sempre più improbabile che li possa un giorno rimborsare? Firmereste una garanzia fidejussoria per un vicino, per il solo fatto di vivere nello stesso condominio?
Certo, le regole comunitarie sono nate quando non si erano ancora prodotti i devastanti effetti della crisi globale esplosa nel 2008 negli Stati Uniti, e poi diffusasi rapidamente a livello globale. E sono certamente regole inadeguate a fronteggiare l’esplosione dei flussi migratori che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, con l’aumento dell’instabilità politica in zone densamente popolate e sottosviluppate del pianeta. E diamo pure per scontato che vi siano paesi che sono riusciti a trarre vantaggio dalla costruzione unitaria europea, magari a danno di altri paesi come il nostro. Ma tutto ciò può davvero bastare per fornire al ceto politico nostrano l’alibi perfetto che lo prosciolga da ogni responsabilità nel declino del Paese?
Basta provare a raccogliere sul web i contenuti programmatici delle principali forze politiche, per comprendere che è piuttosto diffuso il costume di celare al Paese la scomoda verità di dovere affrontare la zavorra del debito pubblico nazionale, sostenendo i necessari sacrifici per assicurare ai nostri figli (o forse ormai ai nostri nipoti) un Paese in linea con i migliori standard di convivenza civile.
Nella mozione congressuale con cui Renzi si candida a guidare il PD la parola debito è citata una sola volta. E la citazione è contenuta nel seguente periodo: “Se dal 1995 ad oggi il nostro tasso di crescita fosse stato uguale a quello medio dell’Unione Europea, oggi il nostro Pil sarebbe più elevato di quasi un quarto (23%). Nelle casse dello Stato sarebbero entrati ben 180 miliardi di euro in più, avremmo raggiunto, e di slancio superato, l’obiettivo del pareggio di bilancio, il nostro debito sarebbe da decenni in discesa e avremmo avuto comunque risorse aggiuntive da utilizzare per rafforzare il nostro sistema di welfare e l’offerta di beni pubblici.” Tutto ciò serve a dire a Renzi che lo strumento per il rientro del debito pubblico è la crescita economica. Altro non si trova nella mozione congressuale e ciò induce a pensare che l’unica strada individuata da Renzi, per risanare il bilancio dello Stato, sia quella di favorire la crescita economica, magari facendo le riforme strutturali. Per quello che abbiamo visto negli ultimi anni, sembra un approccio insufficiente. E infatti il debito pubblico è aumentato.
Nel programma del movimento 5 Stelle si può leggere testualmente: “Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari”. Formalmente risulta un approccio più deciso, che assume la responsabilità di un intervento mirato alla riduzione del debito. Ora, però, immaginare che si possano rimborsare in pochi anni 1.200 miliardi di Euro riducendo gli sprechi non sembra un vero programma politico, ma semmai una generica enunciazione di fede. Ed anche l’accenno alla sburocratizzazione del Paese sembra poco decisivo, se pensiamo ai tentativi infruttuosi di quasi tutti i governi succedutisi negli ultimi anni. Non pensavamo forse che con Tangentopoli sarebbe stata sconfitta la corruzione? Abbiamo visto che intervenire sui meccanismi di funzionamento della macchina statale richiede tempi lunghi e tanta prudenza, ma soprattutto idee chiare e ben formulate.
E se si cerca nel web la posizione di Forza Italia sulle politiche per la gestione del debito pubblico troviamo davvero poco. Intanto perché Forza Italia non ha un proprio programma di governo, al contrario di Renzi e di Grillo. Si può trovare l’annuncio dell’approvazione, da parte dell’Ufficio di Presidenza di Forza Italia, di un documento politico per l’avvio del cantiere delle idee e del programma. Ed in tale documento si può leggere: “stesso record registrato dal debito pubblico, in costante ascesa a 2.218 miliardi. Le previsioni a medio termine sono ancora più preoccupanti.” Insomma, Forza Italia sembra consapevole della gravità del problema dell’eccessivo debito pubblico italiano, ma per capire quali siano le soluzioni che il maggior partito conservatore italiano proporrà all’elettorato dobbiamo attendere.
Magari Forza Italia potrà prendere qualche suggerimento dal suo alleato leghista, nel cui programma non è dato trovare nulla sul debito pubblico italiano, sebbene si possa leggere del proposito di introdurre in Italia “meccanismi di flessibilità (come ad esempio due monete) per riequilibrare la competitività del sud esattamente nello stesso modo in cui si cerca il recupero della competitività italiana verso la Germania.”
Salvini Sembra sicuro della sua ricetta; ha forse già chiesto ai finanziatori del debito pubblico italiano in quale delle due valute preferiscono la ridenominazione del debito, in quella del sud o in quella del nord?
E se siete abituati ad interagire sui social con i leader politici, provate a chiedere loro cosa pensano di fare del debito pubblico; magari vi risponderanno e sapranno anche convincervi d’avere la soluzione giusta. Ma se la buttano in caciara e chiamano in causa l’Europa, sappiate che non è altro che una banale foglia di fico.

Saverio Carlo Greco

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