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Accertamento di lavoro subordinato: il principio dell’assorbimento

Accertamento di lavoro subordinato: il principio dell’assorbimento
Cassazione Sezione Lavoro n. 5552 del 9 Marzo 2011.

La sentenza in commento conferma l’ormai pacifico principio c.d. dell’“assorbimento” dei compensi riconosciuti ad un lavoratore autonomo, in eccesso rispetto ai minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva, in caso di riqualificazione della collaborazione in un rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso di specie una lavoratrice aveva prestato la propria attività in favore di una società in base ad un contratto di lavoro autonomo successivamente al quale veniva assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In un secondo momento, la lavoratrice veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo.
Il Tribunale di Perugia, su ricorso della lavoratrice, riconoscendo un rapporto di lavoro subordinato sin dalla sua assunzione, condannava – inter alia – la società al pagamento anche delle differenze retributive per il periodo in cui la ricorrente aveva iniziato la sua collaborazione in forma autonoma.
A seguito dell’impugnazione proposta dalla società convenuta, la Corte d’Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento della domanda riconvenzionale, aveva dichiarato non dovute le differenze retributive, condannando la lavoratrice alla restituzione di una determinata somma di denaro, a titolo di differenza tra le somme percepite dalla stessa nel corso del rapporto qualificato come autonomo dalle parti, rispetto a quelle che avrebbe avuto diritto di ricevere in base al CCNL che sarebbe stato applicato se la stessa fosse stata inquadrata come una lavoratrice subordinata.
A questo punto, la lavoratrice ritenendo erronea la sentenza della Corte d’Appello, ricorreva in Cassazione, sostenendo, tra i motivi di ricorso, che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il criterio dell’assorbimento, individuando così il trattamento più favorevole tra quello percepito e quello previsto dal contratto collettivo (CCNL), e riconoscere lo stesso come spettante alla dipendente.
La Suprema Corte accoglieva il ricorso, confermando il principio secondo il quale una volta accertata in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto operata dalle parti, ai fini della determinazione del trattamento economico dovuto si deve tener conto quanto in concreto sia stato già corrisposto al lavoratore e porlo a raffronto con il trattamento minimo dipendente dalla corretta qualificazione del rapporto, con la conseguenza che, laddove quest’ultimo sia stato già integralmente corrisposto, non possono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente erogati. Questo principio dell’assorbimento, chiarisce la Corte, non può trovare applicazione, però, per alcuni istituti, primo fra tutti quello del TFR che, prima e dopo l’entrata in vigore della legge n. 297/82, diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto.
Con l’applicazione di tale criterio la Corte ha ritenuto che le somme corrisposte ai lavoratori in eccesso rispetto ai minimi retributivi (stabiliti dalla contrattazione collettiva) non devono essere restituite al datore di lavoro (qualora costui ne faccia richiesta), perché oggetto di un’autonoma contrattazione tra le parti quale corrispettivo della prestazione resa.
Il datore di lavoro per ottenere la restituzione di quanto versato in eccedenza dovrà provare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale, riconoscibile dall’altro contraente, riconducibile agli artt.1429 e 1431 c.c.
 

Avv. Valeria Villecco

Dr.ssa Cristina Naccarato

SLCV

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