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ADDETTO AD UN CALL CENTER: DA LAVORATORE PRECARIO A LAVORATORE SUBORDINATO #in

La decisione della Cassazione Sezione Lavoro n.4476 del 21 marzo 2012  può segnare il destino di molti operatori di call center “precari”  il cui rapporto di lavoro abbia le medesime caratteristiche di quello giunto all’attenzione della stessa Corte di Cassazione.
La lavoratrice ha fatto causa al proprio datore di lavoro la Atesia – Almaviva contact, la più grande società del settore in Europa, dopo aver lavorato  dal 2001 al 2007 come “autonoma”, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa prima, e con contratti a progetto poi, succedutisi senza soluzione di continuità.  Ha chiesto al Tribunale di Roma l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro con conseguente diritto alla stabilizzazione, pagamento delle differenze retributive maturate e risarcimento del danno. Il Giudice di primo grado ha rigettato il ricorso.
In secondo grado, invece, la Corte d’Appello di Roma, ha dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro, nonostante il “nome iuris” attribuito allo stesso dalle parti, condannando la società di call center a riassumere la lavoratrice, nel frattempo licenziata, ed a pagarle le retribuzioni non corrisposte.
L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione di secondo grado per vizi di motivazione e violazione di legge e rilevando in particolare che non esisteva alcun potere direttivo nei confronti dei lavoratori, che erano liberi di recarsi o meno al lavoro, di dimezzare la prestazione giornaliera e di interromperla.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma. Ribadiscono i giudici ermellini che “requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e di controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione”.
La Suprema Corte ha ritenuto corretto il ragionamento logico-giuridico seguito dai giudici della Corte d’Appello i quali hanno evidenziato che:
(i)“l’attività si svolgeva all’interno dei locali aziendali, la lavoratrice doveva coordinarsi con le esigenze organizzative aziendali e quindi era pienamente inserita nell’organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest’ultima, senza alcun rischio d’impresa”;
(ii)la lavoratrice era sottoposta”non tanto a generiche direttive, ma ad istruzioni specifiche, sia nell’ambito di briefing finalizzati a fornire informazioni e specifiche in merito alle prestazioni contrattuali, sia con puntuali ordini di servizio, o a seguito di interventi dell’assistente di sala”;
(iii) “il concorso congiunto del sistema informatico, in grado di controllare l’attività del telefonista in tutti i suoi aspetti e della vigilanza dell’assistente di sala mostrava l’esistenza di un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e quindi inconciliabile con il rapporto autonomo”.
Secondo i Giudici ermellini, tali elementi di fatto rilevati dalla Corte d’Appello, risultano congruamente motivati e resistono alle censure mosse dalla società ricorrente datrice di lavoro.
Conclude la Suprema Corte :“Una volta accertato nel concreto atteggiarsi del rapporto il vincolo di soggezione del lavoratore con inserimento nella organizzazione aziendale, correttamente il giudice di merito ha ritenuto che non poteva assumere rilevanza contraria la non continuità della prestazione e neppure la mancata osservanza di un preciso orario(così come all’uopo irrilevante era la forma di retribuzione)”.

Avv. Valeria Villecco

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