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Colf e rapporto di lavoro subordinato

COLF E RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO: Corte di Cassazione , Sentenza N. 25859 del 21.12.2010.
Lo scambio di prestazioni di lavoro domestico, resa da una straniera estranea alla famiglia contro vitto e alloggio e retribuzione pecuniaria sia pur modesta, dà luogo a rapporto di lavoro subordinato ove non risultino tutti gli elementi del cosiddetto rapporto alla pari, richiesti dalla Legge 18 Maggio 1973 n. 304.
Tale principio è stato chiarito dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto con la quale ha accolto il ricorso di una donna straniera che per anni aveva lavorato per due coniugi, occupandosi delle faccende domestiche, secondo le direttive dei suddetti datori di lavoro, ricevendo in cambio una retribuzione mensile, congiuntamente a vitto e alloggio.
Ciò premesso, la colf, dopo essere stata malmenata dalla figlia dei datori di lavoro e cacciata di casa, (riportando anche danni fisici), conveniva in giudizio gli stessi datori, per sentir accertare dai giudici di merito, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con condanna per gli stessi al pagamento di una somma a titolo di differenze retributive e risarcimento danni.
I convenuti costituendosi in giudizio, contestavano l’esistenza dell’asserito rapporto di lavoro e chiedevano quindi il rigetto del ricorso, ottenendo a loro favore, la pronuncia della sentenza dal Tribunale di primo grado.
Tale decisione, impugnata dalla straniera è stata poi confermata, sulla base dei testi escussi e dalle ammissioni contenute nella domanda di permesso di soggiorno, dalla Corte d’Appello, la quale ha ribadito l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che tra le parti era sorto un rapporto esclusivamente “in chiave umanitaria”, per aver offerto gli anzidetti coniugi all’appellante vitto e alloggio in cambio di un “aiuto” alla stregua degli altri componenti familiari..
Contro tale sentenza, la colf propone ricorso per Cassazione, la quale accoglie il ricorso pronunciandosi sui principali motivi proposti come segue:
1) a fronte dello svolgimento di prestazioni di lavoro da parte della lavoratrice di “aiuto in casa” a titolo oneroso, sarebbe stato onere degli appellanti fornire la prova che lo scambio tra la collaborazione domestica e il vitto, l’alloggio e il compenso erogato trovava il proprio titolo in ragioni di ospitalità “in chiave umanitaria”;
2) le prestazioni rese dallo straniero(estraneo quindi al nucleo familiare), il quale svolge attività lavorativa a favore della famiglia ospitante in cambio di vitto e alloggio e con una modesta retribuzione, configurano un rapporto di lavoro domestico con tutti i diritti che ne conseguono, a meno che non si riesca a dimostrare l’esistenza di un c.d. contratto di lavoro “alla pari” con i requisiti previsti dalla L.304 del 1973.
La sentenza, per tali motivazioni, viene cassata e decisa nel merito con l’affermazione della sussistenza, nella fattispecie in esame, di un rapporto di lavoro subordinato.
 

Avv. Valeria Villecco

Dr.ssa Cristina Naccarato

SLCV

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