CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TERMINE ED INDENNITA’ RISARCITORIA #in
“In caso di conversione del contratto a termine l’indennità prevista dalla legge n.183 del 2010 copre soltanto il periodo precedente al deposito del ricorso”. (Corte d’Appello di Roma, Sezione Lavoro, sentenza n.267 del 17 gennaio-2 febbraio 2012, Pres. E Rel. Amelia Torrice)
Dopo poco più due mesi dalla pronuncia della Corte Costituzionale (11 novembre 2011, sentenza n.303) sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.32 commi 5,6 e 7 del Collegato Lavoro, la Corte di Appello di Roma si esprime, con una singolare pronuncia, su un caso di contratto a termine convertito in rapporto di lavoro a tempo indeterminato distaccandosi dal principio fissato dai Giudici della Consulta.
Secondo la Corte Costituzionale l’indennità risarcitoria omnicomprensiva prevista dall’art.32 del Collegato Lavoro (da 2,5, a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto) deve essere intesa come aggiuntiva e non sostitutiva della conversione del contratto a termine con la conseguenza che il lavoratore otterrà, da una sentenza favorevole, non solo la trasformazione a tempo indeterminato del suo rapporto di lavoro (che è la tutela principale), ma anche la citata indennità risarcitoria. Tale risarcimento, però, coprirebbe tutto il “periodo intermedio” ossia quello che va dalla scadenza del termine sino alla sentenza. Dopo la sentenza, il datore di lavoro sarà obbligato alla riammissione in servizio del lavoratore ed alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate dalla sentenza sino all’effettivo inserimento in azienda.
Ebbene, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Roma ha deciso diversamente.
La fattispecie riguarda una dipendente di Poste Italiane assunta con contratto a tempo determinato ex d.lgs.368/2001. Cessato il rapporto alla scadenza prevista la lavoratrice, nell’anno 2003, ha chiesto al Tribunale di Roma di dichiarare la nullità del termine e l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna dell’azienda alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate dalla data di cessazione fino alla riammissione in servizio. Il Tribunale di Roma rigettava la domanda e la lavoratrice adiva la Corte d’Appello per vedersi accogliere le domande proposte in primo grado. La Corte territoriale di Roma ha dato ragione alla dipendente dichiarando la nullità del termine e trasformando a tempo indeterminato il rapporto di lavoro. Quanto alle conseguenze economiche, i Giudici, dando atto dell’entrata in vigore del Collegato Lavoro nelle more del giudizio, hanno condannato Poste Italiane S.p.A. “a corrispondere alla lavoratrice l’indennizzo ex art.32 legge 183/2010 nella misura di 2,5, mensilità, oltre rivalutazioni ed interessi, per il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, fermo il diritto alle retribuzioni, con rivalutazioni ed interessi, per il periodo successivo per effetto della intervenuta conversione del rapporto”.
E’ evidente che i Giudici di gravame non hanno tenuto in considerazione quanto stabilito dalla Corte Costituzionale sull’ambito temporale “coperto” dall’indennità di cui al comma 5 dell’art.32 del Collegato Lavoro.
I Giudici di Appello capitolini hanno, infatti, dato una diversa interpretazione della norma, compatibile con i principi costituzionali di cui all’art.111 Cost. e con la regola generale secondo cui la durata del processo non può produrre effetti negativi per chi agisce e vince la causa. La tesi secondo cui l’indennità coprirebbe tutto il periodo intermedio fino alla sentenza appare in contrasto con questi principi. L’art.111, infatti, impone che sia consentito alla parte che ha ragione di ottenere una tutela ripristinatoria che sia analoga a quella che avrebbe ottenuto ove avesse avuto ragione nel momento della proposizione del giudizio. Il danno effettivo del lavoratore aumenta se costui propone istanze istruttorie che dilatano i tempi processuali e ciò limita evidentemente il libero esercizio della difesa in giudizio, con lesione anche dell’art.24 Cost.
Aggiungasi che, anche sotto il profilo della interpretazione letterale, la norma desta qualche dubbio. Infatti, il comma 5 dell’art. 32 prevede che il giudice, nello stabilire l’entità della indennità risarcitoria, deve avere riguardo ai criteri indicati nell’art.8 della legge 15 luglio 1966 n.604 (ad es. requisito dimensionale, anzianità del dipendente ecc.). Ebbene, al comma 7, l’art.32 consente soltanto per i giudizi in corso la possibilità di integrare domande ed eccezioni e l’esercizio dei poteri officiosi del giudice per determinare l’entità dell’indennità con esclusione per le cause nuove.
Per tali giudizi nuovi, infatti, il lavoratore solo con il ricorso di primo grado potrà dedurre e proporre istanze istruttorie. Ne consegue che i criteri di cui all’art.8 vanno valutati con riguardo alle condizioni esistenti al momento del deposito del ricorso, anche perché solo con il ricorso si può individuare l’esatto petitum, ossia il numero di mensilità richieste a titolo indennitario.
In conclusione, la Corte di Appello di Roma, sia sotto il profilo costituzionale che sotto quello letterale, ha interpretato la norma nel senso che l’indennità copre il periodo fino al deposito del ricorso (e non sino alla sentenza) e, quindi, da quella data, saranno dovute tutte le retribuzioni per effetto della conversione.
E’ da segnalare, in ogni caso, che tale orientamento risulta smentito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 1411 del 31 gennaio 2012, attenendosi all’interpretazione della norma data dalla Corte Costituzionale, ribadisce che l’indennità spettante al lavoratore copre tutto il periodo compreso tra la scadenza del termine e la sentenza di conversione.
Avv. Valeria Villecco
Studio Legale Commerciale Villecco e Associati