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Il pegno non possessorio: lo strumento per aumentare il credito?

 Il Pegno non possessorio

 Con la L 119/2016 è stata prevista l’introduzione nel nostro ordinamento di una nuova forma di garanzia del credito: il pegno non possessorio.

Si tratta di una garanzia che il debitore può prestare al creditore cedendo in pegno elementi del proprio capitale circolante. I beni rimangono nella disponibilità del debitore, che non è costretto a consegnarli al creditore, se non in caso di inadempimento.

Tale garanzia permette al debitore di conservare il controllo dei beni ceduti in pegno, impiegandoli nel proprio ciclo produttivo. D’altra parte il creditore acquisisce una forma di garanzia che non lo costringe ad alcun onere di gestione materiale dell’oggetto offerto in pegno.

Il pegno non  possessorio debutterà nel nostro ordinamento una volta emanato il decreto attuativo per l’istituzione del relativo registro, ma rappresenta uno strumento legale largamente utilizzato in altri paesi, come l’Olanda, l’Inghilterra e, soprattutto, la Germania.

A norma dell’art 1 della L 119/2016 il pegno non possessorio può essere costituito dagli “imprenditori iscritti nel registro delle imprese”. Tale formulazione consente di applicare l’istituto anche alle imprese agricole, che pur non avendo natura commerciale, sono iscritte nel registro delle imprese.

La legge non pone alcun vincolo alla qualità soggettiva del creditore a favore del quale è costituito il pegno e, dunque, lo strumento può avere applicazione anche tra privati al di fuori del sistema creditizio.

Piuttosto ampio è il novero dei beni che possono essere concessi in pegno dall’imprenditore. Mentre il D.L. 59/2016 prevedeva infatti che potessero essere costituiti in pegno solo i beni mobili, la legge di conversione prevede che il pegno possessorio possa essere costituito su beni mobili, anche immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio. La formulazione della legge, dunque, lascia ampia possibilità all’imprenditore, che può costituire pegno su materie prime, semilavorati, prodotti finiti, brevetti, marchi, software, crediti di qualsiasi natura.

I beni mobili su cui viene costituito il pegno possono essere presenti o futuri, purché essi siano determinati o determinabili  e purché si preveda  un importo massimo garantito. Inoltre l’imprenditore ha piena facoltà di impiego dei beni e può disporne, nel rispetto della loro destinazione economica, fino ad alienarli. In tal caso il pegno si trasferisce al ricavato dell’alienazione senza che ciò comporti costituzione di nuova garanzia.

Il contratto costitutivo del pegno deve essere registrato in un apposito registro istituto e conservato dall’Agenzia delle Entrate.

Il nuovo strumento si presta ad un utilizzo esteso, con la funzione di sopperire a difetti strutturali dell’offerta creditizia tradizionale del nostro Paese, messa a dura prova dalla crisi, dalla nuova regolamentazione in materia di patrimoni di vigilanza degli istituti di credito e dalla perdurante inefficienza della propria organizzazione.

In futuro, quindi, lo scoperto bancario, forma tipica dell’impiego bancario italiano, sarà sempre più sostituto da impieghi garantiti dal pegno non possessorio, che peraltro è particolarmente vocato all’uso estensivo a garanzia di forme tecniche autoliquidanti.

Si porrà certamente il problema del controllo della proporzione tra il valore del credito ed il “valore del sottostante”; un problema che nella prassi italiana è particolarmente ricorrente nelle forme autoliquidanti, che peraltro hanno avuto un’applicazione distorta operata dai vincoli nell’utilizzo ulteriore di linee di cassa. Si può quindi ritenere che, una volta entrato a regime il sistema del pegno possessorio, il sistema delle linee di credito autoliquidanti dovrebbe assumere un nuovo e più equilibrato funzionamento.

E’ evidente, peraltro, che la possibilità di cartolarizzare crediti assistiti da una tale forma di garanzia dovrebbe aumentare la leva bancaria a favore delle PMI imprese.

Né può essere sottovalutato l’impiego di tale forma di garanzia nei casi di start up, o venture capital. L’inserimento, infatti, dei beni mobili immateriali tra quelli gravabili da tale forma di garanzia estende l’applicabilità dello strumento a situazioni in cui l’impresa cerca fondi per sviluppare sul mercato l’utilizzo di beni immateriali come brevetti, marchi o software. Si tratta di un settore mai decollato in Italia e che potrebbe quindi svilupparsi con grandi benefici per la capacità innovativa del sistema Paese.

Dunque il pegno non possessorio si presta a utilizza assai diversificati, che vanno dal produttore di vino di qualità che intende finanziarie il lungo ciclo di produzione (fermentazione, conservazione, affinamento possono richiedere anni per i vini più pregiati), al giovane che intende vendere le proprie app sui mercati internazionali, all’industria che concede in pegno il proprio marchio per finanziarie l’accesso ai mercati internazionali.

Lo strumento è dunque molto potente e richiede quindi una gestione accorta da parte dell’imprenditore. Occorre infatti evitare che in questa prima fase di applicazione le banche (o le multinazionali che detengono un’influenza dominante nelle catene distributive) applichino in maniera distorta tale strumento, magari per “sistemare” scoperti di cassa di fatto irrecuperabili o per scaricare sui piccoli imprenditori i rischi tipici di mercato. In tal caso prevarrebbero problemi di natura fallimentare, minando la credibilità stessa del pegno non possessorio. Sarebbe un peccato sprecare un’altra possibilità di sviluppo nell’interesse di quelle banche che non riescono  proprio a trovare un proprio, sano, equilibrio.

 

Dr. Saverio Carlo Greco

SLCV

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