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Il possessore della cambiale non può pretendere sempre il pagamento del credito documentato #in

Con sentenza n. 63 del 10 gennaio 2012, la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui il mero possessore di una cambiale che non risulti prenditore (né giratario) della stessa, difettando sul titolo l’indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato a pretendere il pagamento del credito documentato, se non dimostri l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito. Ciò in quanto il semplice possesso della cartula non ha significato univoco, ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che essa sia pervenuta al possessore abusivamente. In siffatta ipotesi il documento non può neppure valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 cod. civ., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti di colui al quale la promessa sia stata realmente fatta. Ne deriva che il mero possessore di un titolo all’ordine, privo di valore cartolare, e dal quale perciò stesso non risulti che la promessa di pagamento è stata fatta in favore di chi lo possiede, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del suo diritto. La fattispecie ex Cass. 63/2012 non susciterebbe particolare interesse se l’attore, «il quale aveva sempre dichiarato di aver agito in proprio» (Cass. 63/2012, 4), si fosse qualificato erede del primo prenditore del titolo invalido. Continuando infatti l’erede la personalità del de cuius, le riflessioni precedentemente svolte sui rapporti fra titoli di credito invalidi e promesse di pagamento si estendono anche all’erede medesimo. Non si può d’altra parte immaginare una diversa soluzione della vicenda esaminata da Cass. 63/2012 invocando quanto sostenuto alcuni anni addietro dalla stessa III sez. civile della S.C. In quest’ultima occasione la Corte di legittimità ha infatti evidenziato: «non sussiste il difetto di legittimazione attiva del figlio che fa valere giudizialmente un credito del genitore defunto per il solo fatto che egli non se ne affermi anche erede, in quanto il chiamato all’eredità, qual è necessariamente il figlio del defunto ai sensi dell’art. 536 c.c., agendo giudizialmente nei confronti del debitore del de cuius per il pagamento di quanto dichiaratamente al medesimo dovuto, compie un atto che, nella consapevolezza della delazione dell’eredità, presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede, così realizzando il paradigma normativo dell’accettazione tacita dell’eredità di cui all’art. 476 c.c.» (Cass., sez. III, 13.6.2008, n. 16002). Come risulta dalla riferita motivazione, nel caso appena ricordato la qualifica di erede è implicitamente attribuita dal giudice all’attore. Per la fattispecie ex Cass. 63/2012, invece, giova ribadire che la qualità di erede è stata espressamente rifiutata e quindi non vale l’applicazione estensiva dell’art. 1988 c.c.
Avv. Raffaele Scionti
Studio Legale Commerciale Villecco e Associati

 

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