L’evasione in Italia tra mitologia e realtà (e le scadenze alle porte)
Negli ultimi giorni del mese di marzo le principali agenzie giornalistiche hanno diffuso la notizia dell’avvenuta audizione, in Commissione Bicamerale, del presidente della Commissione per la redazione della “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva“, Enrico Giovannini; questi ha illustrato alla commissione i risultati contenuti in un documento del giugno 2016, secondo cui nel 2014 l’evasione fiscale nel nostro Paese sarebbe arrivata a 111 miliardi di euro. Sappiano che il tema dell’evasione ha un’importanza essenziale per l’affermazione dei principi di equità e legalità, ma perché tanta enfasi alla notizia di un dato che era già disponibile da ben 9 mesi?
Forse è l’enormità del dato che colpisce gli italiani, cui si vuol far credere che nel Paese l’evasione è un problema gigantesco e che, per ogni 100 euro di tasse onestamente pagate, ci sarebbero 20 euro di tasse evase. In pratica, gli italiani sono indotti a credere che, se tutti pagassero le tasse, ognuno potrebbe risparmiare il 20% di quanto paga oggi. E’ con tale argomento che si giustifica l’attuale livello impositivo, uno dei più alti d’Europa e dai più giudicato ormai opprimente ed ingiusto. Ed è con tale argomento che si giustifica pure la lotta senza quartiere all’evasione.
Ma come sono stati calcolati i 111 miliardi di evasione del 2014? Con un complicato, raffinato, ma del tutto teorico algoritmo, che dovrebbe confrontare le estrapolazioni statistiche sul Prodotto Interno Lordo con i dati di riscossione del bilancio dello Stato. Dunque si tratta di una stima statistica, una specie di figura mitologica, sulla cui attinenza alla realtà qualche riflessione andrebbe fatta, magari analizzando qualche dato concreto, come quelli contenuti nella Relazione sulla Gestione dell’Agenzia delle entrate al Bilancio consuntivo dell’esercizio 2014.
Secondo l’Agenzia nel 2014 sarebbero stati recuperati, con la lotta all’evasione, ben 14,2 miliardi di euro. Una prima osservazione sembra davvero necessaria, quantomeno per intenderci bene sul concetto di evasione. Nel solo 2014 lo Stato ha incassato circa 3,8 miliardi di somme che i contribuenti hanno volontariamente versato dopo l’arrivo di una raccomandata e ben 6,3 miliardi pagati dopo la notifica di un avviso di accertamento. Ora, se fosse stato animato da un intento evasivo, il contribuente non avrebbe di certo versato propria sponte, nemmeno dopo l’arrivo di una raccomandata. Semmai il fenomeno è legato al fatto che le ridotte condizioni di liquidità del sistema economico inducono molte volte i contribuenti a tardare il versamento delle imposte. Non è un caso che il fenomeno nel 2008 era un quinto di quello misurato nel 2014.
Leggendo la Relazione dell’Agenzia, dunque, sembrerebbe più corretto considerare l’incasso dei soli importi iscritti a ruolo, pari a 4,1 miliardi nel 2014, come rappresentativi di una situazione di effettivo recupero di evasione; una situazione, cioè, in cui i contribuenti denunciano i propri redditi omettendone una parte e sottraendosi, quindi, al versamento delle imposte effettivamente dovute. Ma se questi sono i soldi riscossi, quanti sono quelli effettivamente evasi? Per inquadrare meglio il fenomeno conviene analizzare i dati sull’attività di accertamento e controllo svolta dallo Stato nel 2014.
Possiamo in tal modo osservare che il numero degli accertamenti effettuati quell’anno si è ridotto del 10% circa, mentre è aumentata la maggiore imposta accertata, che ha raggiunto il livello di 26 miliardi. Si noti che il dato è in aumento rispetto all’anno precedente del 5%, ma è ben lontano dal massimo storico raggiunto nel 2011, quando era stata appena introdotta la norma sull’esecutività delle iscrizioni a ruolo. Dunque si riduce il valore dell’imposta accertata, che per il 50% è relativa a piccole imprese e lavoratori autonomi, ed inoltre si riduce pure del 25% l’imposta accertata e pagata per acquiescenza. Vuol dire che con il passare degli anni lo Stato riesce a scovare sempre meno evasione e, quando individua delle irregolarità, sono sempre meno i cittadini che accettano i risultati delle verifiche. Infatti, sempre i dati del Ministero dell’Economia, questa volta quelli contenuti nella “Relazione annuale sul contenzioso tributario”, ci dicono che il contenzioso nel 2015 ha ripreso a crescere e, soprattutto, che lo Stato perde circa il 40% delle cause e, per un altro 20% circa, l’esito non è sfavorevole, ma non coincide nemmeno con la pretesa tributaria. Se si considera che viene impugnato circa il 50% degli accertamenti, possiamo giungere alla conclusione che su 26 miliardi circa di maggiore imposta accertata a seguito di controlli, 6 miliardi circa vengono incassati subito (versamenti volontari per acquiescenza e adesione), 13 miliardi sono contestati e 7 miliardi circa finiscono immediatamente nelle procedure di riscossione coattiva. Dei 13 miliardi contestati, poi, circa 7 vengono confermati dopo il contenzioso e incassati, dopo molti anni, nella quota delle riscossione mediante ruolo. Dalla Corte dei Conti sappiamo, con la Deliberazione 20 ottobre 2016, n. 11/2016/G, che il credito erariale vantato nei confronti dei contribuenti morosi e iscritti a ruolo è ormai arrivato a circa 65 miliardi, di cui ogni anno Equitalia riesce a riscuotere circa 4 miliardi. In pratica dalla riscossione mediante ruolo si riesce a recuperare solo il 6% di quanto l’Erario pretenderebbe di incassare. Se proiettiamo questa stima sulle iscrizioni a ruolo del 2014 a seguito dei controlli fiscali, allora concludiamo che lo Stato può aspettarsi di incassare solo 0,8 miliardi circa dei 14 iscritti a ruolo prima e dopo il contenzioso tributario.
Insomma, possiamo concludere che ogni anno lo Stato dice di scovare circa 26 miliardi di evasione, di cui però circa 5 miliardi si riferiscono a pretese ritenute illegittime; quindi l’evasione passerebbe a 21 miliardi, di cui 6 miliardi si incassano subito, ed altri 0,8 si incasseranno nel tempo con la gestione dei ruoli esattoriali di Equitalia; in conclusione sarebbero 14,2 i miliardi evasi ogni anno, una cifra assolutamente lontana dai 110 miliardi annunciati da Giovannini.
Ora, se consideriamo che lo Stato incassa ogni anno circa 550 miliardi di entrate, allora possiamo concludere che in Italia l’evasione raggiunge il 2,6% delle entrate erariali. Come dire che per ogni 100 € di tasse pagate nel nostro Paese, c e ne sono 2,6 di evasione (e non 20, come dice Giovannini).
Possiamo quindi concludere che alla Commissione Bicamerale è stata annunciata una stima dell’evasione che è 10 volte il dato misurato nella realtà. E non è certo un caso se, nel primo anno del triennio 2016-2018, è stato iscritto nello stato di previsione dell’entrata e, contestualmente, nel Fondo per la riduzione della pressione fiscale, un importo di appena 143 milioni di euro riveniente dalla lotta all’evasione del 2014. Come dire che un giorno, forse, i cittadini potranno risparmiare 26 centesimi per ogni 1.000 euro di tasse che pagano.
Sembra davvero un risultato deludente, se pensiamo che nel solo 2014 lo Stato ha svolto circa 700.000 accertamenti, ha impiegato un esercito di 40.000 persone per gestire l’Agenzia delle Entrate, che è costata ai cittadini italiani ben 3,5 miliardi di €, a cui si sono aggiunti 68.000 militari della Guardia di Finanza, che sono costati ben 3,9 miliardi e ad altri 8.000 dipendenti di Equitalia, che sono costati circa 0,5 miliardi.
Potremmo concludere dicendo che i dati del quinquennio che ci lasciamo alle spalle mostrano che nella lotta all’evasione si è ormai raggiunto il fondo del barile, con una costante riduzione dei risultati.
Ma allora delle due l’una: o teniamo in piedi in Italia un esercito di 116.000 persone (tra cui, è bene ricordarlo, vi sono i dirigenti più pagati della Pubblica Amministrazione) che si fanno sfuggire ogni anno la bellezza di 111 miliardi di evasione e riescono ad individuarne solo il 16%, incassandone appena il 5,1%, oppure la stima della commissione presieduta da Giovannini non è altro che il frutto di un procedimento statistico di estrapolazione che non ha alcun valore ai fini della pratica risoluzione dei problemi italiani di finanza pubblica.
La realtà dei fatti direbbe che, in un Paese in cui il 50% delle piccole Partite IVA evade (nonostante le risorse impiegate per combattere l’evasione), ci vorrebbe una radicale riforma del sistema fiscale, allo stato assolutamente incapace di garantire l’equa contribuzione di ogni cittadino alle esigenze finanziarie dello stato. Si dovrebbe allora pensare ad una serie riforma della tassazione delle micro imprese e dell’attività autonoma, concentrando l’attività di controllo sulle medie e grandi imprese. Ma questo richiede tanto tempo e la scadenza della UE per la manovra correttiva è invece alle porte.
Saverio Carlo Greco