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Licenziamento e ricollocazione del lavoratore. L’offerta di lavoro autonomo non assolve all’obbligo di “repechage” (ripescaggio #in).

Licenziamento e ricollocazione del lavoratore. L’offerta di lavoro autonomo non assolve all’obbligo di “repechage”.

Cass. Sezione Lavoro n. 6625 del 23/03/2011

 

La Corte di Cassazione con sentenza n.6625/2011 ha stabilito che “l’onere della prova, a carico del datore di lavoro, della impossibilità di collocare il lavoratore da licenziare in mansioni analoghe a quelle proprie della posizione lavorativa occupata, per quanto debba essere inteso con elasticità, tuttavia, in un contesto in cui agli altri dipendenti vengano offerte più valide alternative, non può essere considerato assolto con la prova di aver proposto al dipendente un’attività di natura non subordinata, ma autonoma, esterna all’azienda priva di qualsiasi garanzia reale in termini di flusso di lavoro e di reddito, come quella di subagente”.

Tale principio di diritto è stato enunciato dai Giudici di Legittimità in accoglimento del ricorso di un ispettore di una compagnia assicurativa licenziato per giustificato motivo oggettivo, a seguito della soppressione della succursale di appartenenza ed in considerazione del suo rifiuto di accettare qualsiasi proposta di ricollocazione offerta dal datore di lavoro.

Impugnando il licenziamento il ricorrente denunciava che, a fronte della sua disponibilità a svolgere altre mansioni, gli era stata prospettata la sola trasformazione del rapporto di lavoro da dipendente ad autonomo, nel ruolo di sub-agente, mentre agli altri operatori della stessa filiale erano state offerte opzioni decisamente più favorevoli (mantenimento del tempo indeterminato in altre funzioni, trasformazione del rapporto in “consulente a vita” e contratti di agenzia).

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano ritenuto che il datore avesse provato l’indisponibilità del lavoratore all’impiego in mansioni equivalenti ed avevano, quindi, rigettato la domanda del lavoratore.

La Suprema Corte, invece, ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione, ribadendo che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare l’impossibilità di utilizzare il dipendente in mansioni equivalenti ed in particolare tale onere “è da intendersi contenuto nei limiti della ragionevolezza, tenuto conto delle contrapposte deduzioni delle parti e delle circostanze di fatto e di luogo reali proprie della singola vicenda esaminata, dovendo il giudice del merito valutare sul piano concreto la incompatibilità della professionalità del lavoratore licenziato con il nuovo assetto organizzativo aziendale; lo stesso lavoratore a questi fini è tenuto a fornire elementi utili ad individuare la esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione” (Cass. 20 gennaio 2003, n. 777)

Tuttavia, la Corte d’Appello di Catania si è discostata da tale principio ritenendo sufficiente la prova del datore di lavoro di aver proposto al lavoratore, come alternativa al licenziamento, una collaborazione esterna come sub-agente.

I Giudici di Legittimità hanno cassato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Palermo indicando il principio di diritto secondo il quale in un contesto in cui agli altri dipendenti vengono offerte più valide alternative, non può considerarsi assolto l’obbligo di “repechage” da parte del datore di lavoro con la prova di aver offerto al dipendente un’attività di natura non subordinata, ma autonoma ed esterna all’azienda.

Avv. Valeria Villecco

SLCV

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